Recensione: The Georgia War, Ten Years On, by AA.VV.

Jan 30, 2019 | Mattia Baldoni

The Georgia War, Ten Years On, by AA.VV.,
ISPI Dossier, agosto 2018
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/georgia-war-ten-years-21096

Per il decimo anniversario del conflitto tra Georgia e Russia nell’agosto 2008, ISPI ha raccolto alcuni contributi di autori e studiosi, che analizzano gli esiti e i riflessi della guerra su vari piani, politici, sociali ed economici, tanto nelle loro implicazioni regionali quanto in quelle globali.

Su quest’ultimo punto ruota il saggio di Fabrizio Vielmini – The Systemic Impact of the Five-Day War in Georgia. Nonostante il carattere regionale, la guerra ha avuto importanti implicazioni mondiali. Infatti, il conflitto in Ossezia del Sud ha costituito un punto di svolta nelle relazioni internazionali post-bipolari: il sistema unipolare statunitense cede lentamente il passo a nuove e intraprendenti potenze. L’attivismo russo indica a Washington il declino della sua agenda globale, divenuta insostenibile proprio per la complessità dei rapporti e delle crisi moderne. Secondo Vielmini, la principale lezione del conflitto russo-georgiano è il superamento del confronto ideologico, della mentalità da “nuova Guerra Fredda”, incapace di spiegare gran parte delle relazioni internazionali contemporanee e le ragioni di determinate politiche e strategie, soprattutto nello spazio post-sovietico.

Evgenija Gorjushina, in The August War: A Regional Conundrum for Russia, affronta il tema dei risultati militari raggiunti con il conflitto. Mosca ha ottenuto due risultati: la totale rottura con Tbilisi e, contemporaneamente, il rinvio a data da destinarsi dell’ingesso della Georgia nella NATO. La principale minaccia sollevata con il Summit di Bucarest del 2008 è stata sventata.
Altro importante esito del conflitto è stata la permanente militarizzazione delle frontiere e la successiva riforma e modernizzazione degli apparati militari, soprattutto russi. Il campanello d’allarme suonato con la perdita di alcuni mezzi ha arrestato il declino post-sovietico dell’esercito di Mosca. Lo status-quo raggiunto con il riconoscimento dell’indipendenza di Abcasia e Ossezia del Sud ha sancito lo stallo totale della situazione, sempre più influenzata dagli attori internazionali (USA, Turchia, UE). Secondo Gorjushina, Mosca potrebbe tentare di ristabilire le relazioni con Tbilisi, ma potrebbe non trovare la stessa disponibilità dall’altro lato della barricata, sia per il diniego degli alleati occidentali della Georgia, sia per la possibile percezione pro-russa che potrebbe investire il governo georgiano.

Proseguendo il discorso sulla difesa e l’apparato militare, Bidzina Lebanidze in NATO and Georgia: Waiting the Winter Out descrive la duplice strategia Nato verso la Georgia post-2008: intensificare i rapporti con Tbilisi e favorire il percorso di riforme istituzionali intrapreso; prevenire l’ingresso georgiano nella NATO per non irritare Mosca. La contraddizione, sottolinea Lebanidze, è frutto del dibattito interno al Patto Atlantico tra sostenitori e oppositori di un ulteriore allargamento verso i Paesi post-sovietici. In questa che è stata definita “pazienza strategica” dal Segretario NATO Stoltenberg, la Georgia ha visto un incremento dei piani d’assistenza NATO, senza tuttavia arrivare nemmeno all’inizio del percorso di inserimento. In questa situazione congelata, l’UE si rivela un’organizzazione ben più attiva e presente rispetto al Patto Atlantico.

Di questo si occupa Marco Ferraro, in After the Georgia War: the EU and Eastern Europe. Il conflitto del 2008 ha segnato un punto di svolta per la stessa UE e per la sua politica estera. La guerra ha dato il via a un crescente attivismo europeo nella regione, che si può riscontrare nelle negoziazioni per la pace, nella decisione di istituire la missione di monitoraggio in Georgia e di promuovere l’accelerazione della Eastern Partnership dal 2009. Tuttavia, l’approccio europeo è proseguito sulla linea della continuità, piuttosto che del cambiamento. Anche perché le varie crisi regionali hanno ricalibrato la percezione dell’UE come elemento di stabilità e sicurezza internazionale. Secondo l’autore, è necessario riprendere una linea più pragmatica e capace di bilanciare equamente soft e hard power, superando l’idea di Europa come semplice “forza civile”.

Del percorso di integrazione europeo della Georgia si occupa Tinatin Tsertsvadze, The Road to Georgia’s EU Integration. Per il governo di Tbilisi, l’ingresso in Europa è uno dei principali obiettivi, a cui la Georgia si sta avvicinando con importanti decisioni: Law on Elimination of All Forms of Discrimination (2014); l’Accordo di Associazione (AA) e il Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (DCFTA); la liberalizzazione del regime dei visti. A queste si aggiungono molte compartecipazioni politiche, militari e diplomatiche, nonché un forte sostegno popolare al processo di integrazione UE (70-80% a favore). Oltre a queste misure, sono però importanti altri procedimenti, che coinvolgano attivamente la società civile georgiana. È necessaria una maggiore conoscenza e consapevolezza delle politiche e dei progetti sociali promossi dall’Europa. Allo stesso tempo, la Georgia deve superare i vari ostacoli posti dalla soft power russa, come la presenza di media e giornali, partiti e gruppi finanziati da Mosca. Quest’ondata di conservatorismo, secondo Tsertsvadze, rischia di annullare ogni risultato e passo positivo verso un’integrazione europea a 360°, che sia politica, economica e, soprattutto, sociale.

Samuele Dominioni, in The August War and Georgia’s Path Toward Democracy, affronta questa tematica. Il conflitto del 2008, secondo Dominioni, ha avuto un duplice effetto per il processo democratico in Georgia. Da un lato, ha spostato l’equilibrio internazionale del Paese a favore dell’UE, che ha aumentato la sua presenza in loco; dall’altro, la guerra ha iniziato il processo di sfaldamento del potere di Saakashvili. In merito al primo punto, Saakashvili si è reso conto di non poter contare più sull’appoggio incondizionato degli USA: nonostante i grandi elogi, Washington non è intervenuta per difendere Tbilisi dai carri armati russi, perciò l’UE è diventata l’interlocutore più vicino. In secondo luogo, dopo l’iniziale sostanziale supporto ricevuto, Saakashvili ha visto scemare il consenso, diretto sempre più verso l’allora nuovo “Sogno georgiano”, apparso maggiormente capace e dinamico nel poter affrontare le sfide e le riforme di cui il Paese necessitava. Perciò, in ultima analisi, il primo cambiamento democratico per via elettorale nel 2012 sarebbe a sua volta un lungo strascico della guerra del 2008.

Infine, Giorgio Comai in South Ossetia: Time to Embrace Nuance, supporta l’idea per cui, a dieci anni dal conflitto, la questione osseta vada affrontata dal punto di vista pragmatico ed umano, abbandonando preconcetti e posizioni partigiane. La complessità dello scenario, regionale e non, richiede una comprensione ampia e globale del fenomeno, facendo sì che un approccio dualistico sia totalmente inefficace.

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