Recensione: The Russian Interventions in South Ossetia and Crimea Compared: Military Performance, Legitimacy and Goals, Emmanuel Karagiannis

Jan 22, 2019 | Mattia Baldoni

The Russian Interventions in South Ossetia and Crimea Compared: Military Performance, Legitimacy and Goals,
Emmanuel Karagiannis,
Contemporary Security Policy 35:3
pp. 400-420,
Published online: 29 Sep 2014.

Italian version

Gli interventi militari russi in Ossezia del Sud e Crimea, pur distanti tra di loro nel tempo, delineano somiglianze e diversità dell’approccio del Cremlino verso i vicini post-sovietici. Due sono i fili rossi che collegano i due eventi bellici: il primo è l’allargamento ai Paesi dell’Europa orientale della partecipazione alla Nato (1999 – 2004). Questa è la principale minaccia percepita da Mosca, che torna così a soffrire quel senso di accerchiamento che ne ha caratterizzato la storia e la politica interna ed estera. Nella famosa Conferenza di Monaco del 2007, Vladimir Putin espone l’insofferenza russa verso le strategie occidentali, sentenziando il declino del monopolio statunitense e la nascita di un futuro multipolare. Alla luce di questa rinnovata percezione, gli eventi bellici del 2008 e del 2014 sono accomunati dal crescente attivismo internazionale del Cremlino, sfociato in entrambi i casi in un intervento militare. Mosca elabora una propria teoria delle relazioni internazionali, che sottolinea la priorità delle strategie e degli interessi strategici della Federazione. Lo scontro militare, extrema ratio seppur di ridotte dimensioni, non è più un tabù per il Cremlino.
L’altro avvenimento che ha fortemente condizionato le azioni e il pensiero russo è stato la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo (2008), riconosciuta da metà del consesso ONU (non dalla Russia). Questo precedente, secondo il Cremlino, è esattamente assimilabile alle reazioni in Ossezia del Sud e Crimea: Mosca è intervenuta per proteggere i suoi peace-keepers (Ossezia) e, preventivamente, difendere la maggioranza russa in Crimea. In entrambi i casi, quindi, la motivazione della tutela della minoranza russa è ritenuta fondamentale nella giustificazione dell’intervento.
Dal punto di vista militare, emergono alcune divergenze. In primis, i due territori sono estremamente diversi: la Crimea è una penisola geograficamente e militarmente strategica nel Mar Nero, sede di un’importante base navale russa e abitata da 2 milioni di persone; l’Ossezia del Sud è una piccola regione montuosa al confine con la Russia e scarsamente popolata, senza particolari attrattive strategiche per Mosca.
In secondo luogo, lo sforzo bellico, per quanto limitato, ha delineato diverse caratteristiche. Nell’agosto 2008, nella guerra con la Georgia, la Russia ha risposto ad un attacco, riconquistando i pochi terreni osseti perduti (tra cui la capitale Tshkinvali) e occupando alcuni centri nevralgici georgiani, come Gori e Poti. Pur avendo gestito le operazioni in maniera piuttosto efficace ed agevole, Mosca ha dovuto contare alcune vittime e feriti, nonché la perdita di pochi mezzi bellici. Pur essendo stato uno scontro palesemente impari, il Cremlino ha subito qualche lieve graffio, che ne ha testimoniato l’incompleta modernizzazione militare. L’operazione del 2014 in Crimea, invece, ha certificato l’ampio rinnovamento di tutto l’apparato bellico russo. In questo caso, Mosca ha agito preventivamente, con una pianificazione dettagliata ed un intervento estremamente rapido e funzionale: nell’arco di 24 ore l’intera penisola crimeana è stata occupata e isolata dalla terraferma ucraina e nessun uomo o mezzo ha riportato danni. Nelle poche settimane successive, l’evoluzione degli eventi ha portato la Crimea a dichiararsi parte della Federazione russa (Referendum del 16 marzo 2014).
In conclusione, i due interventi militari russi sono accomunati dall’ampio mutamento del background e delle strategie internazionali di Mosca e, tramite le loro differenze, mostrano come la capacità bellica e diplomatica del Cremlino si sia evoluta in questo periodo (2008-2014).

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